Da febbraio viviamo tutti in un limbo, come in attesa di qualcosa che si teme possa verificarsi da un momento all’altro.
Le nostre vite sono stravolte, le nostre abitudini cambiate e per chi come me è ipocondriaca, nulla è lasciato al caso, per tenere lontano il pericolo covid.
Ho acquistato mascherine per ogni uso: stoffa con filtro per esterni e ffp2 per interni e poi i disinfettanti, in quantità tale da far invidia ai presidi sanitari.
Ormai sterilizzare ogni singolo oggetto che varca la soglia di casa è diventato un rito cui nessun componente della nostra famiglia si sottrae.
Abbiamo rinunciato a tanto, troppo: niente visite ai nonni, niente incontri con gli amici, un’estate all’insegna della prudenza nonostante il mondo fuori sembrasse credere che tutto fosse tornato normale.
Noi ci siamo adattati ad una nuova normalità fatta di piccole cose, di momenti della giornata scanditi con ordine: dad/smartworking, pranzo tutti insieme, piccole passeggiate o cyclette, musica tanta a volume alto come a voler coprire i pensieri che si affollano nella mente.
Ho creduto di aver fatto l’impossibile per proteggere la mia famiglia, non mi sono distratta mai, ho sempre misurato ogni azione cercando di mantenere al minimo ogni rischio.
Eppure lui è entrato tra le nostre vite e lo ha fatto senza che neppure ce ne accorgessimo.
Una febbre leggera, scambiata per i postumi da colpo d’aria preso in auto, problemi intestinali, addebitati alla mia intolleranza alla panna, incautamente mangiata il giorno del compleanno di mia figlia ed infine la perdita dell’olfatto, che ha tolto ogni dubbio a quelli che erano lontani sospetti.
All’improvviso né la sottoscritta, né le mie ragazze, abbiamo avvertito alcun odore, neppure quelli più forti come la candeggina o il gas.
Il profumo di igienizzante sparito, come anche quelli della cucina.
Lo smarrimento iniziale è enorme, nessuno di noi sa come muoversi.
Abbiamo cercato dapprima di comprendere se ci fossimo fatte suggestionare dalla situazione, ma nessun profumo smuove il nostro olfatto, né i cibi il nostro gusto.
Si rende necessario il tampone.
Passano i giorni e la asl ci messaggia, in contemporanea e ci invita in un hotspot non troppo distante da casa.
In un’area mercatale dismessa, tendoni militari, montati per l’occasione, accolgono una fila ordinata di persone pronte per essere “tamponate” da un vero e proprio esercito di uomini e donne in tuta bianca come quelle che ormai siamo abituati a vedere in televisione.
E’ il nostro turno e veniamo invitate ad accomodarci nella tenda numero 2 dove giovani dottoresse, con mano delicata, eseguono il tampone.
48 ore dopo, quello che sembrava essere solo un sospetto diventa realtà: positivo.
In un attimo i pensieri corrono alle tante persone che sono ospedalizzate e il panico ha il sopravvento.
Poi cerchi di razionalizzare e di pensare a limitare i danni facendo il pieno di vitamine, paracetamolo, antiinfiammatori e tutto ciò che ti allevia i dolori fisici, che sono tanti e diversi da quelli di una banale influenza, ma che purtroppo poco fanno per sollevare il morale.
Il fiato è corto, l’affanno è persistente, i muscoli dolgono tutti, nessuno escluso, ma quel che più dà noia è la schiena, dai reni in su, che brucia e non dà tregua.
Cosa abbiamo sbagliato? Non cambia nulla sapere, eppure in famiglia non si parla d’altro.
Come è potuto entrare proprio in casa nostra, con tutte le maniacali attenzioni fatte?
Chi di noi l’ha portato?
Credo che non sia poi così importante saperlo, l’unica cosa che conta davvero è superare questa come ogni situazione che la vita ci riserva e di provare a farlo con il sorriso, anche se non sempre sembra così semplice.
La mia figlia più piccola ha avuto l’esito qualche ora dopo di me, mentre si trovava da sola nella sua stanza dove era isolata da giorni.
Alla notizia è esplosa in un pianto inconsolabile ma io sono corsa da lei: “…e perché piangi?” le ho detto affacciandomi alla porta della sua stanza “ora possiamo tornare a stare insieme e finalmente abbracciarci!”
Ci siamo strette l’una all’altra ed è stata la migliore medicina per entrambe.
Con le ragazze abbiamo riso delle pietanze troppo salate, di quelle bruciate, della mania che ci è presa di annusare qualunque cosa con la speranza di percepire anche solo un minimo odore.
Senza olfatto il mondo sembra vuoto, privo di quelle sfumature cui siamo talmente abituati da non farci neppure più caso.
Cucinare con il covid non è affatto semplice: una piccola distrazione e ti ritrovi con il pranzo in fumo a meno di non fissarlo fino a fine cottura.
Ogni assaggio risulta inutile perché i gusti sembrano neutri e sei portato a salare, d’istinto e allora tutto risulta terribilmente sapido, perché il covid non ama le mezze misure: o non senti nulla o senti troppo.
La mia adorata birra è una bevanda amara, il pesce potrebbe essere qualsiasi cosa, mentre del sugo si riconosce l’acidità.
La Nutella è un qualcosa di pastoso, terribilmente dolce, quasi immangiabile.
Eppure mangiamo tanto, di tutto perché inconsciamente siamo portati a cercare di ritrovare i gusti persi e se pur nella drammaticità della situazione, questa nuova realtà è stata occasione di grande complicità tra noi e di risate.
Una piccola distrazione mi ha portato a bruciare la verza e a ricreare in cucina,ambiente tipico da val padana con nebbia fitta, ma incredibilmente inodore, mentre la verdura, in parte bruciata era comunque mangiabile, per noi,solo più croccante.
Può sembrare incredibile, ma abbiamo vissuto mesi di ansia in attesa che arrivasse il peggio e ora che ci siamo dentro, abbiamo ritrovato la forza di reagire e soprattutto di farlo nel migliore dei modi: col sorriso.
”Se la vita ti dà cento motivi per piangere, mostrale di averne mille per sorridere”.